Chiesa del Gesù
Il terzo centenario della Chiesa
Correva l’anno 1714 quando il Vescovo diocesano Francesco Maria Arrighi – dopo 24 anni di intenso lavoro ad opera di importanti maestrie – dedicava questo edificio al Santissimo Nome di Gesù (iscrizione sopra la porta centrale). Da quella data, esattamente il 29 luglio, i Gesuiti prima e i presbiteri diocesani dopo, hanno quotidianamente celebrato all’interno di questa chiesa che custodisce diverse opere d’arte, tra cui l’icona della Madonna delle Tre Ave, venerata dai poliziani e celebrata ogni anno nella solennità dell’Immacolata Concezione, l’8 dicembre, alla presenza del Vescovo. A distanza di più trecento anni vogliamo ricordare, come comunità parrocchiale, la dedicazione della chiesa del Gesù perché tutti i fedeli e i turisti di passaggio possano scoprire ed amare la Bellezza incarnata, Cristo Signore, attraverso le tante bellezze che i nostri padri ci hanno lasciato e che sono custodite in questo edificio. Entrando all’interno, sostiamo in preghiera, ammirando e contemplando quanto abbiamo ereditato e quanto dobbiamo tramandare alle generazioni future.
La lettura architettonica: “che giochi la industria”
La Compagnia di Gesù si insediò a Montepulciano il 9 ottobre 1557, per tramite del Cardinale poliziano Roberto Nobili, durante il pontificato di Paolo IV. In un primo tempo i padri abitarono in un edificio della Compagnia dei Grandi, presso Via del Paolino ma, nel 1560, furono costretti a lasciare la città perché calunniosamente accusati. Una volta chiarito l’episodio, si pensò di richiamarli, ma è solo nel 1606 che due padri, Giacomo Nobili lucchese, e Pier Maria Galvi senese, si fermarono stabilmente a Montepulciano, sistemandosi ed esercitando la loro funzione educativa ed ecclesiale nella chiesa della Compagnia della Croce, in un sito adiacente all’attuale chiesa del Gesù. Grazie al lascito dell’eredità Salimbeni iniziò la costruzione del collegio gesuita, nel 1630. Il progetto prevedeva inizialmente che il sito del collegio comprendesse anche una chiesa. Durante la costruzione, invece, i gesuiti scelsero di realizzare una chiesa distaccata dal collegio, che avesse una forma e dimensione degna dell’ordine, che era in grande espansione. L’idea progettuale fu quella di realizzare una edificio a pianta circolare, con una dimensione di tutto rispetto per la Montepulciano dell’epoca, che finì per caratterizzare fortemente il tessuto urbano della zona est di questa parte del centro storico della città. Dopo numerose difficoltà logistiche ed economiche, nel 1691 si pose la prima pietra e si iniziarono i lavori, sulla base progettuale del padre milanese Giovanni Battista Origoni.
Al termine dei lavori di fondazione la costruzione venne sospesa, per le enormi spese già sostenute e per i molti dubbi sulla possibilità che la questa fosse capace di sostenere la grande cupola prevista. I gesuiti pensarono di ricorrere al loro celebre fratello Andrea Pozzo, noto per l’abilità nel progettare, ma soprattutto per le finzioni che sapeva ottenere con l’illusionismo prospettico pittorico. E’ proprio all’abilità e all’esperienza del Pozzo che si deve in gran parte la realizzazione dell’attuale edificio. Il celebre gesuita elaborò un progetto complessivo e fu a Montepulciano tra il 1702 e il 1703. Estremamente significativa per la sua filosofia progettuale è la frase contenuta nella sua lettera del 22 aprile 1702 al Rettore del Collegio di Montepulciano Jacopo Ottolini: “L’esperienza e la necessità farà che giochi la industria”. Andrea Pozzo fu così coinvolto nella progettazione che contribuì alla costruzione della chiesa donando ai padri poliziani 400 libri del suo manuale “Perspectiva”. Dopo la definitiva partenza del Pozzo per Vienna, dove morì nel 1709, la chiesa fu conclusa con modifiche al progetto iniziale con la finta cupola di Sebastiano Cipriani, terminata alla fine del 1713.
La facciata esterna restò incompleta, ad eccezione del portale e del basamento in travertino. L’interno è a pianta leggermente ellittica ed il paramento murario è in stucco. L’ampia aula è delimitata da quattro elementi strutturali compositi con colonne, pilastri e modanature che inquadrano quattro aperture corrispondenti all’ingresso, al presbiterio con l’altare maggiore, e ai due altari laterali. L’insieme presenta continue sporgenze e rientranze, cornici e capitelli, in un effetto quasi teatrale, caratteristico della produzione tardo barocca di Andrea Pozzo. Gli stucchi furono realizzati, in gran parte, da maestranze senesi. Il cupolino e gli altari laterali a “trompe l’oeil” furono dipinti da Antonio Colli, allievo dell’architetto gesuita. L’affresco del catino absidale con la Gloria del Santo Nome di Gesù venne realizzato nel 1901 da Sallustio Tarugi.
Il miracolo di San Gregorio il Grande
La grandiosa pala d’altare è stata dipinta dal pittore toscano Durante Alberti nel 1585 per ordine di Francesco Fanti. La tela – che non era destinata a questa chiesa – è posta sull’altare sinistro con prospetto architettonico dipinto da uno dei migliori allievi di Andrea Pozzo, Antonio Colli. La cappella fu edificata dal gesuita Gregorio Fanti rettore dell’annesso Collegio poliziano nel 1697.
San Gregorio Magno, uno dei quattro Padri della Chiesa occidentale, è raffigurato con il tradizionale attributo della Colomba dello Spirito Santo accostata all’orecchio, che allude all’ispirazione divina dei suoi scritti. L’episodio è tratto dalla “Legenda aurea” di Jacopo da Varazze e rappresenta il Papa che sostiene un frammento della dalmatica di san Giovanni evangelista, donato ad alcuni principi che gli avevano chiesto preziose reliquie, ma da essi restituito perché ritenuto non di pregio. Gregorio, dopo aver pregato, e lo sfondo della scena evoca proprio la preghiera del Papa davanti al Crocifisso, tagliò il panno con un coltello da cui uscì miracolosamente del sangue a dimostrazione del valore della reliquia.
Tornando al committente dell’opera, sappiamo quindi che fu ordinata da un esponente dell’illustre casata poliziana, Francesco Fanti, un centinaio di anni prima della sistemazione nella chiesa gesuitica, ma non per quale destinazione. Si può supporre, vista l’eponimia, che Fanti l’avesse fatta eseguire in onore del Pontefice Gregorio XIII, di cui fu a lungo familiare. Gli stretti legami con la corte pontificia e l’ambiente artistico romano favorirono verosimilmente anche l’incontro di Francesco Fanti con il pittore biturgense autore del dipinto poliziano, che tra l’altro lavorava con assiduità per l’ordine dei Gesuiti e dei Cappuccini. Si tratta di Durante Alberti, della nota famiglia di artisti di Sansepolcro; non è da escludere che l’artista fosse già nei primi anni sessanta ad affrescare il Belvedere nel Palazzo Vaticano. Nel 1571 è ricordato a dipingere nella villa del cardinale Ippolito d’Este a Tivoli. Soggiornò a lungo a Roma, tanto da essere tra i fondatori della nuova Accademia di San Luca bel 1593. La sua pittura d’argomento religioso fu probabilmente influenzata anche dal “Trattato della nobiltà della Pittura” del parente Romano Alberti, edito nel 1585 sulla scia delle dottrine del cardinale Paleotti. Infatti, Durante fu uno dei maggiori rappresentanti dell’arte sacra teorizzata dalla controriforma cattolica nel Concilio di Trento: di quell’arte senza tempo che doveva suscitare sentimenti di devozione, comunicare con rapidità e chiarezza i messaggi cristiani, manifestare una misurata espressione degli affetti attraverso un linguaggio semplificato e accostante anche negli aspetti formali, distante dagli artisti manieristici, ma attento al dato naturale e quotidiano. La pala poliziana è un’opera ambiziosa nel percorso del pittore, decisamente ben riuscita, dove Durante esprime una vivace vena narrativa attraverso uno schema compositivo articolato, seppure ancora costruito su rigorose geometrie. La figurazione è ricca di personaggi con un’ambientazione della scena molto complessa del solito.
La Madonna delle Tre Ave
La devozione alla Madonna delle Tre Ave nasce da una promessa della Vergine Maria a Santa Matilde, religiosa benedettina del XIII secolo, la quale – essendo questa donna un giorno molto angosciata per timore di dannarsi – la Regina del Cielo le comparve, tutta circondata di luce, e le fece questa promessa: “Tutti quelli che reciteranno devotamente ogni giorno tre Ave Maria in onore della potenza, sapienza e amore di cui la Santa Trinità ha ricolmato il mio cuore, otterranno la perseveranza finale”.
La devozione delle Tre Ave ha avuto l’approvazione canonica della Chiesa sotto il pontificato di Papa Benedetto XV, il quale si degnò di approvarla con un documento manoscritto il 30 luglio 1921. A Montepulciano, nella Chiesa del Gesù, la devozione delle Tre Ave è fiorita sin dal 1931 per lo zelo del sacerdote don Salvatore Mangiavacchi, devotissimo della Vergine Maria, il quale eresse – nel mese di maggio, con l’aiuto del Vescovo mons. Giuseppe Batignani – la Confraternita delle Tre Ave che ha per fine il culto e la devozione alla Madonna Immacolata. Due quadri appesi ai lati dell’altare destro, dove è collocata la Madonna delle Tre Ave, riportano il documento di Papa Benedetto XV, scritto in francese, e il diploma di aggregazione alla Confraternita scritto in lingua latina. Il compianto Vescovo mons. Emilio Giorgi, nel 1941, eresse la Chiesa del Gesù a Santuario delle Tre Ave e fondò “L’Opera delle Tre Ave” che ha per fine l’apostolato per le vocazioni alla vita consacrata e il culto della Vergine Maria. Ogni giovedì pomeriggio – per tutto l’anno – la comunità parrocchiale si riunisce dinanzi il Santissimo Sacramento chiedendo al Signore numerose e sante vocazioni per la Chiesa universale.